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TitreDialogo di pittura
AuteursPino, Paolo
Date de rédaction
Date de publication originale1548
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Date de reprint

, p. 106

Fece Toloemo un convitto, al qual trovatosi Apelle, e venendo veduto da Tolomeo, che l’odiò sino in vita d’Alessandro, soperbamente gli domandò, chi l’avesse introdotto nel suo palagio, alla qual risposta trattosi Apelle da mensa senza altro rispondere, recatosi un carbone in mano, disegnò nel muro una faccia, laqual fu conosciuta, come effigie d’uno nominato Piano, che l’avea convitato a tal trionfo.

Dans :Apelle au banquet de Ptolémée(Lien)

, p. 111

[[4:suit Apelle, irreprésentable]] Dipinse Apelle un cavallo a concorrenza d’alcuni fatti da altri pittori, e volendo quelli giudici conoscere il più perfetto tra quelli, fecero condurre alcuni cavalli vivi al conspetto de’ dipinti, e, vedendo quello d’Apelle, cominciorono a nitrire et alterarsi, ma per gli altri non fecero alcun segno.

Dans :Apelle, le Cheval(Lien)

, p. 134-135

Accetterà[[5:il pittor nostro]] però l’ordine tenuto dal grande Apelle, il qual, per non mancar nell’ integrità, poste le sue tavole in publico, di nascosto ascoltava la diversità dell’openioni, le quali poi, considerate da lui con la qualità della cosa dipinta, l’ammetteva o reprobava secondo il suo giudicio ; e fra gli altri accettò una fiata l’opposizione d’un calzolaio perch’avea legate le scarpe d’una figura alla riversa. Del ch’ invaghito il calzolaio, volendo proceder più oltra nel giudicare gli abiti delle figure, disse Apelle : « Fratello, questo s’apertiene al sarto, e non a te ». Così restò il calzolaio confuso. […] Voleva (come ho detto) Apelle intendere più openioni, perché molte fiate la virtù intellettiva resta dal troppo frequente operare come avelata et ottusa ; il perché sovente ci occorre che, credendo aggiognere perfezzione nell’opere, se gli accresce disgrazia.

Dans :Apelle et le cordonnier(Lien)

, p. 117

La prontezza e sicurtà di mano è grazia concessa dalla natura, in ciò fu perfetto Apelle, e si legge a questo proposito ch’eccitato Apelle dalla fama di Protogene, pittore celeberrimo, andò a Rodi per visitarlo, desideroso di sapere se la lui gloria fusse equale all’opere, et entrato in casa sua, dimandò di Protogene a una certa vecchia, dalla qual li fu risposto che non v’era; et Apelle, preso un pennello, distinse una linea giustissima, dicendo a colei: « Dirai a Protogene: “quello che fece tal segno ti ricerca” ». Tornato Protogene, veduta la linea e inteso il tutto, con un altro colore formò un’altra linea per lo meggio di quella fatta da Apelle, e partìsi, ordinando alla vecchia che dicesse ad Apelle :  « Colui che fece quest’altro segno è quello che tu ricerchi ». Ritornato Apelle e veduta la linea, con intrepida mano, raccolto il pennello, formò la terza linea nel corpo di quella fatta da Protogene, e fu di tal sottilità ch’era quasi invisibile. Tornando al ragionamento dico che la prontezza di mano è cosa de grande importanza nelle figure, e mal può oprare un pittore senza una sicura, e stabil mano, e quello assicurarsi sopra la bacchetta non fu mai usato da gli antichi, anzi è cosa vituperosa, dica chi vuole.

Dans :Apelle et Protogène : le concours de la ligne(Lien)

, p. 110

Si legge in Plinio et altri di Apelle cose molto ammirande et appresso di me come impossibili, impero che si dice ch’ei fingeva come propri i raggi del sole, e dipingeva il baleno e’lampi tanto al vero simili, ch’imprimeva timore ne’ riguardanti, come cosa molto difficile, anzi i[[1:n]]imitabile, perch’a tal lucidezza non serveno i colori, né anco l’uomo puo affissarsi in quelli sì che ne apprendi buona informazione, per esser tanto i baleni sùbiti.

Dans :Apelle et l’irreprésentable(Lien)

, p. 119

Vero è ch’ambi gli estremi sono biasmevoli, et a questo proposito si dice, ch’Apelle biasmava sé stesso, perch’era troppo diligente, né mai finiva di ricercare e perficere l’opere sue, la qual cosa è molto all’intelletto nociva. Il contrario poi si dice d’un altro pittore, il qual dimostrò una sua opera ad Apelle, gloriandosi averla fatta prestissimo, al che rispose Apelle: “ Senza che tu me lo dica l’opera lo manifesta da sé stessa.” Et anco quest’empiastrar, facendo il pratico, come fa il vostro Andrea Schiavone, è parte degna d’infamia, e questi tali dimostrano saperne puoco, non facendo, ma di lontano accennando quello, che fa il vivo, e per ciò vi conviene usar una mediocre diligenzia, non avendo riguardo all’ispender tempo, anzi usavano gli antichi (e si dovrebbe seguir anco, come buona parte) che tutte le tavole, o quadri (come volete nominarli), finite ch’erano, le riponevano da canto, e un tempo dopoi le rivedevano, ed emendavanle. Quest’ordine tengono i letterati nelle loro composizioni, et è molto utile.

Dans :Apelle et la nimia diligentia(Lien)

, p. 119; 124-125

L’ispedizione riesce in tutte le cose, ma la prestezza nell’uomo è disposizion natural et è quasi imperfezione. In ciò non merta il maestro lode, per non esser tal cosa acquistata da lui, ma donatagli dalla natura. E poi non si giudica nell’arte nostra la quantità del tempo ispeso nell’opera, ma sola la perfezzion d’essa opera, per la qual si conosce il maestro eccellente dal goffo. Vero è ch’ambi gli estremi sono biasmevoli, et a questo proposito si dice ch’Apelle biasmava sé stesso perch’era troppo diligente, né mai finiva di ricercare e perficere l’opere sue, la qual cosa è molto all’intelletto nociva. […] LA— Ma è crudel cosa che niuno mai finisca di farsi maestro. FA— Questo ci aviene perché gli intelletti nostri sono impediti dall’imperfezzione corporea, a tal ch’aggiungniamo prima alla morte ch’al termine dell’ intendere. LA— Questo è ch’il nostro Pino scrive nell’opere sue « faciebat ». FA— È ben fatto. Il medesmo scriveva il dio della pittura Apelle, volendo farsi intendere che sempre scorgea maggior profondità nel sapere, e quanto più s’impara, tanto più vi riman da imparare. LA— È una folla. Tutte l’opere sue hanno la boletta, cosa risibile.

Dans :« Apelles faciebat » : signatures à l’imparfait(Lien)

, p. 111

Che direte di Bularco, che donò una sua tavola, nella qual era dipinto il conflitto delli Magneti, a Candaulo re de’ Lidi? Il qual re, non sapendo dargli più onorato prezzo, fece porre la tavola sopra una billancia, e l’altra billancia caricò di tanto oro che s’agguagliò al peso della tavola, e con tal modo fu di cortesia reciproco al donatore.

Dans :Bularcos vend ses tableaux leur poids d’or(Lien)

, p. 100

E non tanto dilettò la pittura agli uomini, ma le femine insieme ne fecero profitto, tra le quali Tamarete, la qual dipinse una Diana lungamente conservata in Efeso, un’altra Irene, e Calisso, l’altra Zizena vergine Olimpia, né di minor ingeniosità fu Marzia figliuola di Varrone, che dipinse anco ne’ fori publici, è stata publicata da’ scrittori.

Dans :Femmes peintres(Lien)

, p. 122-123

Iddio fu e pittore e scultore […] Ma, quant’all’invenzione umana, vi sono diverse openioni secondo Plinio. Lodansi gli Egizii, dicendo che tal arte suscitò da loro ; il ch’è falso. Gli Greci dicono che ne furono inventori. Altri dicono che li Scizioni la ritrovò (sic) ; altr’i Corinti. Ma sia come si voglia, tutti sono conformi nel modo dell’invenzione, affirmando che tal arte ebbe origine dall’ombra dell’uomo, et è molto credibile ; onde, affirmandosi un uomo nello spazio lucidato dal sole, Ardice, che fu il primo che l’isercitò come arte, contornava la detta ombra in terra o in altra sua materia con linee dette da noi profili, i quali furono trovati da Filocle egizzio over Cleante corinto. Costoro cominciorono a distinguer linee con un certo color nero nommato monochromaton.

Dans :Les origines de la peinture(Lien)

, p. 107-108

Et avenga ch’alcuni dicano l’operar esser atto mecanico per la diversità de’ colori e per la circonscrizzione del pennello, così nel musico alciando la voce, dimenando le mani per diversi istromenti, nondimeno tutti noi siamo liberali in una stessa perfezzione. Ma liberale si può dir la pittura, la qual, come regina dell’arti, largisse e dona buona cognizione de tutte le cose create ; liberale anco, come quella a chi è concessa libertà di formar ciò che le piace. […] Vero è che non fruimo quelle prerogative donateci da’ Greci, li quali ebbero in tanta venerazione l’arte della pittura, ch’oltre il celebrarla come arte liberale, non pativano per edito publico che niun cattivato in servitù, overo condennato per qual si voglia mesfatto, potesse imparar tal arte, e, se la sapeva, gli era vietata lo isercitarla. Fu anco molto istimata da’ Romani, dei quali molti furono nobili pittori, come Manilio Fabio, che dipinse il tempio della Salute, perciò tutti li Fabii furono cognominati Pittori.

Dans :Pamphile et la peinture comme art libéral(Lien)

, p. 138

In questo Panfilo maestro d’Apelle usava gran scortesia, e si mostrava avarissimo, perch’egli non pigliava discepolo alcuno per men precio d’uno talento attico all’anno, che valea più de sei cento scudi delli nostri, né si può dire, che questo facesse per riputazion dell’arte perché li bastava il tenir le sue tavole in precio, ma anzi dimostrava non amar l’arte per altro che per utilità, cosa a noi veramente biasmevole, tenendo l’alchimia vera in seno et essendo ricchi d’un tal tesoro che la morte sola ce lo può involare.

Dans :Pamphile et la peinture comme art libéral(Lien)

, p. 136

Parte onorata e utile del nostro pittore sarebbe la fisionomia, come anco vuol Pomponio Gaurico, acciò che, se volesse dipignere una femina casta, sappi molto bene distinguere li contorni et applicare l’effigie secondo la qualità delle cose, imitando quel Demone lacedemone pittore, le pitture del quale erano tanto simili al proprio, ch’in quelle si conoscea un avaro, un crudele, un vizioso e tutte l’altre proprietà naturali.

Dans :Parrhasios, Le Peuple d’Athènes(Lien)

, p. 110

[[4:suit Apelle et Campaspe]] FABRIANO — Così tengo io, et a vostra confirmazione vi voglio raccontare alcune cose conservate da’ più ingenui scrittori come degne di perpetua memoria. Era Demetrio accampato a Rodi, e, per la strenua difesa d<e>i Rodiani, deliberato cacciar fuoco da una parte della città più debole e facile da ispugnare, fugli detto ch’abbrugiando quel luoco distruggeva una bella tavola dipinta per man de Protogene ; d’il che più accortosi Demetrio, volse prima abandonar l’impresa che distruggere una sì degna opera, e così lasciò illesa la città de Rodi. LAURO — Vedete con qual affettuoso nodo sono legati i pittori dalla pittura, ch’immortalarsi con l’acquisto d’una tanta città.

Dans :Protogène et Démétrios(Lien)

, p. 112

La — Non so dove a’ tempi nostri si trovasse un pittore che con una pittura accendesse il cuor de un uomo di libidine, come Ponzio, legato de Caio imperatore (per quanto dice Plinio), ch’infiammatosi d’una Elena dipinta, tentò più meggi per portarsela seco, ma, essendo la pittura in muro, ciascuna invenzione fu debole; e Zeusi, che dipinse l’uve tanto simili alle proprie, che gli augelli volavano a quelle credendo mangiarsele.

Fa — Degno de più onorato preggio fu Parasio, che dipinse un panno bianco in un quadro, sotto il qual accennò esservi certe figure, e Zeusi, suo concorrente, scintillando ancor nella gloria acquistata per l’uve, stimolava Parasio che facesse scoprire il quadro; al che rispose Parasio: “Scoprilo da te stesso”. Zeusi, cupido di vedere l’opra che parea e non era, accostatosi alla tavola, diede di mano nel velo dipinto, ond’egli confessò esser vinto dall’ingeniosità del rivale.

La — Maggior difficultà è ingannare un maestro nella medesima arte, con la qual egli si vince, ch’ingannar gli augelli, liquali conoscono le cose per le forme senza altra distinzione, e che così dipinta, dipinsi poco tempo è in una loggia un gallo Indiano, imitandone un vivo, il qual vivo veduto il dipinto, cominciò alterarsi di tanto sdegno, che gridando, con l’ali, e ungnie difformò tutta la pittura, e per lungo spazio li tennero un certo riparo. Il medesimo m’è occorso in alcuni cavalli, sì come avvenne a quel d’Apelle, e a un ratto dipinto da un moi amico, al qual s’aventò un gatto credendolo vivo.

FA — De ciò vi presto indubitata fede. Et è chiaro che fu senza comparazione maggior l’intelligenzia di Parasio, perch’ancora egli fece nella insula di Rodi una pernice sopra una colonna, alla qual volavano le vere cotornici, et anco m’aita a crederlo ch’el ditto Zeusi fece un fanciullo che teneva pur uve in un piatto, alle quali, come le prime, venivano gli augelli, non spavendosi per lo fanciullo. Dil che Zeusi si sdegnò con sé stesso, dicendo: «S’il fanciullo avesse del vivo, come l’uve hanno del vero, gli augelli lo temerebbo no».

Dans :Zeuxis et Parrhasios : les raisins et le rideau(Lien)

, p. 98-99

FABRIANO — Veramente tutte le fatture naturali patiscono opposizioni. Il che causa l’impotenzia della materia, nella qual essa natura imprime l’opere sue. E per non incorrere nell’imperfezione, imitate Zeusi che, volendo appresso li Crotoniati dipignere una Venere, elesse tra tutte le giovanette della città cinque vergini, la beltà delle quali soppliva all’integrità della sua Venere, raccogliendo da una di quelle gli occhi, dall’altra la bocca e dall’altra il petto, et in tal guisa reduceva a perfezione l’opera sua. LAURO — Vi faccio fede che, s’io fossi stato Zeusi, arrei prima usato con la natura, poscia con l’arte.

Dans :Zeuxis, Hélène et les cinq vierges de Crotone(Lien)

, p. 123

Costoro[[5:pittori.]], divenuti abondanti di richezze con la vera alchimia della pittura, cominciorono a donar l’opere sue, istimando ciascuno alto prezio inferior a quelle; con la qual presentazione erano incredibilmente presentati.

Dans :Zeuxis et la richesse(Lien)

, p. 134

Non meno rimase vinto il nostro Paolo Pino, ritraggendo una donna, e sopragionta la madre di lei disse maestro questa macchia sott’il naso non è in mia figliola, rispose il Pino gli è il lume, che causa l’ombra sott’il rilevo del naso, disse la vecchia, eh ? come può stare ch’il lume facci ombra ? Confuso il pittore disse quest’è altro, che fillare, et ella dando una guanciattina alla figliuola in modo di scherzo disse, e quest’altro, che pittura, non vedete voi che sopra questa faccia non vi è pur un neo, non che machie tanto oscure. Fa. La prontezza dell’arguzie è assai famigliar alle femine.

Dans :Apelle et le cordonnier(Lien)

, p. 112

[[7: voir le reste dans Zeuxis et Parrhasios]] Et è chiaro che fu senza comparazione maggior l’intelligenzia di Parasio, perch’ancora egli fece nella insula di Rodi una pernice sopra una colonna, alla qual volavano le vere cotornici, et anco m’aita a crederlo ch’el ditto Zeusi fece un fanciullo che teneva pur uve in un piatto, alle quali, come le prime, venivano gli augelli, non spavendosi per lo fanciullo.

Dans :Protogène, Satyre et parergia(Lien)

, p. 111

Vi fu uno pittore tebano detto Aristide, il qual vendete una figura di Bacco cento talenti, che valevano cento ducati l’uno, et un’altra pur della costui mano fu comperata dal re Attalo per sei mille serterzii (li quali sono di valore di due libre e mezza d’oro per uno, secondo Cicerone), e credendo Mumio che vi fusse nascosta una qualche virtù, rivocata la vendita, fece riporre la figura nel tempio di Cerere.

Dans :Aristide de Thèbes : la mère mourante, le malade(Lien)